Qualche giorno fa, il mio telefono ha squillato con una notizia che nessuno dovrebbe mai ricevere. Dall’altro capo, la voce spezzata di una mia cara amica di Roma, testimone di un’ingiustizia straziante: nel Municipio XII, era in corso un prelievo coatto. Una bambina di appena sei anni, con i suoi giochi ancora sparsi sul pavimento, stava per essere strappata dalla sua casa, dalle braccia della madre, dal calore della sua quotidianità. Nessun crimine, nessuna colpa. Solo una sentenza che, con la freddezza burocratica di un timbro su carta, decretava la fine della sua infanzia come l’aveva conosciuta. Ma questa volta, qualcosa è accaduto. L’intero condominio si è mobilitato.
Uomini e donne comuni, giovani e anziani, hanno fatto muro attorno a quella famiglia. Sono entrati in casa, riempiendo ogni stanza, ogni corridoio, pronti a impedire con la sola forza della loro presenza quell’atto disumano. Mani strette, sguardi determinati, cuori pieni di coraggio: era un’alleanza spontanea, nata dall’istinto di proteggere una bambina da un sistema che sembrava aver perso ogni contatto con l’umanità. All’esterno, un dispiegamento di forze degno di un’operazione anti-mafia: polizia, assistenti sociali, funzionari di tribunale. Una macchina burocratica spietata che non si è fermata neppure di fronte alla paura di una bambina terrorizzata.
All’interno, il tentativo tragicomico di un’operatrice di convincerla: “Andrai in una casa-famiglia bellissima, c’è un giardino grandissimo e bellissimo, ci sono tanti giochi” – descrivendo la casa-famiglia come Gardaland! Come se qualche giostrina potesse curare il trauma di un’infanzia violata. E la motivazione?
Alienazione genitoriale. Sì, ancora questa teoria infondata, vera e propria spazzatura priva di validità scientifica, che perfino la Cassazione ha più volte rigettato (da ultimo con le ordinanze n. 9691/2022, n. 286/2022). Nonostante la comunità accademica internazionale l’abbia bollata come pseudoscienza, nei tribunali italiani continua ad essere usata come una clava per giustificare prelievi coatti e decisioni devastanti. Ma c’è di più. Il Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 e l’art. 403 del Codice Civile, riformati con la cosiddetta riforma Cartabia, stabiliscono che il prelievo coatto debba essere un’extrema ratio, da utilizzare solo in casi di grave pericolo per il minore. Dove sarebbe il pericolo in questa storia? Chi tutela il diritto inviolabile di questa bambina alla stabilità, come sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia? E, soprattutto, chi controlla l’operato dei Servizi Sociali, che ormai sembrano più impegnati a far quadrare numeri e perizie che a proteggere davvero i bambini? E il governo?
Dove sono le istituzioni che dovrebbero vigilare su queste aberrazioni? L’indifferenza regna sovrana. Le riforme, benché ben intenzionate, rimangono disapplicate, lasciando campo libero a comportamenti arbitrari e dannosi. La politica preferisce chiudere un occhio, troppo impegnata a rincorrere consensi su altri temi più “spendibili” mediaticamente. A chi importa della sofferenza di una bambina strappata alla sua casa, se non fa rumore nei sondaggi? Oggi, quella bambina di sei anni ha imparato una lezione atroce: chi promette di proteggerla è lo stesso che la sta facendo soffrire. Domani, quella bambina sarà una donna adulta, segnata per sempre, con il cuore pieno di cicatrici e il veleno della sfiducia. Un sistema che non tutela i minori, ma li distrugge. E mentre i CTU brandiscono la pseudoscienza come fosse verità assoluta e i Servizi Sociali si trasformano in
burocrati senz’anima, il prezzo più alto lo pagano sempre i bambini.
Chi risponderà per il danno irreparabile?
Quando, e se mai, quei funzionari dovranno rendere conto delle loro azioni, sarà troppo tardi. Vergogna a chi giustifica questi abusi!
Vergogna a chi difende uno sterco sociale travestito da psicologia forense. Vergogna a un governo che, con il suo silenzio, si rende complice di un sistema che sacrifica l’infanzia sull’altare dell’inefficienza e dell’arroganza.